Recentemente Marco Mengoni è stato a Los Angeles in occasione della Hit Week, un importante festival di musica italiana nel mondo. A portarlo negli Stati Uniti anche il nuovo album, a cui ha iniziato a lavorare ai Sunset Sound Studios. Il vincitore di X Factor ha raccontato a Vanity Fair la sua esperienza americana, ma anche della sua adolescenza e di molto altro.Marco spiega di aver iniziato a lavorare da giovanissimo per soddisfare la sua voglia di indipendenza:
Mengoni confida che qualche volta sente il bisogno di un clone:Il primo giorno di lavoro da barista in uno stabilimento sul lago di Vico, a Viterbo, toccai il fondo. Avevo quattordici anni, e un grande desiderio d’indipendenza dai miei genitori, commercianti. Volevo emanciparmi, cominciare a pagarmi le cose da solo. È il turno dell’alba, i cacciatori dei boschi lì intorno vogliono i caffè alla svelta. Una signora mi chiede un cappuccino. Glielo metto sul bancone. È ustionante. Me lo tira addosso. Da allora non ho più sbagliato.
Non ho di che lamentarmi. Durante il tour, nella coda fnale di In un giorno qualunque, ho iniziato ad abbracciare il pubblico. Un modo di arrendermi. Questo è stato un anno di lavoro duro. Non un gioco. In certi momenti, sentivo il bisogno di avere un clone. Poi mi ripetevo: “Dai, su, hai 24 anni: se non dai il massimo adesso, quando?
Il cantante ammette di sapersi commuovere:
Sono un eroe che piange. Se provo un’emozione forte, è facile che mi escano le lacrime. Per questo amo gli eroi latini, non quelli greci. E mi piace pensare di avere dei poteri, ma sono anche per il difetto che si vede.
Marco confida che il palco gli da sicurezza:
Sono un X- Man sul palco, su quell’accrocchio di ferro e legno. Io, che per timidezza non telefonavo agli amici, che fino a poco tempo fa avevo problemi a chiamare un taxi o un ristorante da prenotare, lì mi sento a casa: un “Cesare”
Fonte:mondoreality
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